I dati pubblicati dall’Autorità Nazionale Anticorruzione sulla mercato degli appalti nel periodo maggio-agosto 2016 sono estremamente allarmanti. Nell’aprile 2016 è stato approvato il nuovo Codice dei contratti con il decreto legislativo n. 50 che ha atteso diversi mesi prima di essere attuato dalle linee guida della stessa autorità guidata da Raffaele Cantone.
La scarsa chiarezza del testo del codice, denunciata Consiglio di Stato nel suo parere al decreto, e l’assenza delle disposizioni di attuazione hanno determinato lo stallo di un mercato nel quale, occorre ricordarlo, se ci sono amministrazioni che spendono per erogare servizi, ci sono anche imprese che lavorano per pagare stipendi.
La contrazione delle procedure è stata del 31% rispetto al 2015, con una spesa complessiva di poco inferiore a 28,5 miliardi di euro. Nello stesso periodo del 2015 il valore degli appalti promossi in Italia aveva superato i 40 miliardi. Se poi si tiene conto che il 18,2% di affidamenti avviene attraverso centrali di acquisto che riducono il costo unitario beneficiando delle economie di scala dei grandi operatori è del tutto evidente che il favore per le micro, piccole e medie imprese più volte citato nel testo del codice è aria fritta.
Il tessuto imprenditoriale del paese soffre anche questa crisi. Ma i dati ANAC non aiutano a comprenderne la reale portata, visto che si riferiscono soltato agli appalti di importo superiore a 40 mila euro e fanno riferimento soltanto ai valori indicati dalle stazioni appaltanti, senza tener conto dei ribassi degli aggiudicatari.
Di questo fallimento, che colpisce in particolare il settore dei servizi (-25,6%) con una lieve ripresa dei lavori (in crisi dal 2013), nessuno parla. Meglio discutere del sesso degli angeli.