Il Governo a guida Mario Draghi ha giurato e nelle prossime ore si presenterà alle Camere per ottenere la fiducia del Parlamento. Si tratta di una vittoria del Presidente della Repubblica il quale, ancora una volta pur di non consegnare la parola al popolo, è riuscito a mettere d’accordo tutti. Una capacità che in politica è ormai rara e che certamente è stata acquisita nella sua militanza nella Democrazia Cristiana. In effetti, l’ampia maggioranza che sostiene questo nuovo Governo della XVIII legislatura assomiglia molto al Pentapartito che negli anni ’80 ha gestito il potere in Italia.
All’epoca, Democrazia Cristiana, Partito Socialista, Partito Socialdemocratico, Partito Repubblicano e Partito Liberale presero decisioni molto importanti che hanno cambiato la storia del nostro paese. Ne cito solo un paio. Nel 1981 si avvia la separazione tra Banca d’Italia e Ministero del tesoro. Qualcuno ricorderà la “lite delle comari”, questo è il nome giornalistico dello scontro politico che, nel 1982, oppose il ministro del tesoro Beniamino Andreatta al ministro delle finanze Rino Formica. Altro che questione da comari, si trattava dell’avvio della cessione della sovranità monetaria che inizia a palesarsi proprio in quegli anni con l’adesione allo SME. Al principio degli anni ’90 il pentapartito si trasforma in quadripartito (con l’uscita dei repubblicani) ed i governi lavorano alle privatizzazioni, smantellando l’industria pubblica italiana. Dopo aver occupato ogni poltrona (collocando spesso portaborse inadeguati) i partiti giustificano la scelta per l’inefficienza delle aziende che, in realtà, rappresentano un patrimonio unico a livello mondiale. Draghi conosce molto bene quanto è stato smantellato, per il ruolo dell’epoca. Fermiamoci qui.
La maggioranza allargata alla quale assistiamo in questa terza fase della legislatura si presenta molto simile, per composizione e distanza politica, al pentapartito. Siamo però dinanzi a politici molto più litigiosa ed inadeguati che dovranno, da un lato, ottenere dei risultati per il bene del paese e, dall’altro, garantirsi un consenso utile per le prossime elezioni.
Draghi li ha in pugno. Nessuno è interessato a forzare la mano, per il desiderio di sopravvivere e soprattutto di gestire i miliardi di fondi che arriveranno dall’Europa, indebitando ancora una volta gli italiani. Draghi, con i ministeri strategici che ha commissariato con suoi fedelissimi, potrà quindi imporre le sue riforme che troveranno soltanto in Fratelli d’Italia un’opposizione parlamentare.
Proprio in Parlamento vedremo come prenderà forma il programma politico di questo nuovo Esecutivo, dove c’è una netta divisione su molti temi: etici (famiglia-gender), fiscali (flat tax-patrimoniale), sociali (immigrazione-accoglienza), etc. Dal discorso sulla fiducia forse inizieremo a capire quale strada intende prendere. Forse. E’ infatti molto probabile che ascolteremo un discorso retorico privo di indicazioni puntuali, in modo da consentire a tutti i leader di partito di ringraziare e ritenersi soddisfatti.
Mario Draghi non è capitato per caso in questa fase storica. Ha davanti a lui una grande opportunità. Invertire la rotta della crisi o liquidare quel che resta di questo paese sciagurato, incapace di rialzarsi con una classe dirigente onesta, competente e responsabile.