LA PRESCRIZIONE: UN DIBATTITO ETERNO E INUTILE

Il contrasto ai reati contro la pubblica amministrazione si può realizzare soltanto con strumenti di investigazione e una riforma culturale per restituire senso di appartenenza

Il dibattito riaperto dal Ministro Nordio sulla prescrizione e sulle dimensioni della pena per i reati di corruzione affascina molti studiosi ed opinionisti. In un paese che fatica a portare a conclusione i processi è evidente che l’istituto della prescrizione, nato per dare certezza alle situazioni giuridiche soggettive, appare da un lato indispensabile per gli imputati onesti e dall’altro salvacondotto per i rei corrotti. La discussione è tra quelle che periodicamente ritorna alla ribalta dei media, senza che una soluzione definitiva vi possa essere.

I numeri della corruzione in Italia lasciano pensare ad un fenomeno assai ridotto. Sia l’ISTAT che il Ministero della Giustizia forniscono dati che, presi da soli, appaiono irrilevanti per contrastare il fenomeno. Purtroppo le statistiche non sono recenti ma consentono comunque alcune riflessioni.

In un’analisi pubblicata il 15 novembre 2022, il Ministero di Giustizia, dopo aver operato una riclassificazione dei delitti di corruzione in base alla nomenclatura internazionale, registra per l’anno 2019 i delitti per i quali c’è un procedimento a seguito di iscrizione nel registro delle notizie di reato (36.806) e quelli per i quali è avviato il dibattimento (9.128). Ne deriva che soltanto uno su quattro dei procedimenti avviati porte al processo, con una condanna oppure un’assoluzione. C’è una netta distanza tra i reati di corruzione (in senso stretto) e quelli di appropriazione (come il peculato). 25.765 procedimenti (con 8.315 dibattimenti) appartengono a questa seconda categoria contro 1.618 (di cui 414 dibattimenti) che sono rientranti nella prima.

La corruzione è un fenomeno, dal punto di vista processuale, irrisorio se si considera il numero di persone che collaborano nel settore pubblico (circa 3,5 milioni) che potrebbero rendersi protagonisti di questo delitto. Eppure si discute sulla grandezza della pena o sulla descrizione del reato (dal 2012 affiancato dal traffico di influenze illecite) come se i palazzi di giustizia fossero pieni di corrotti e corruttori. Penso che sia condivisibile affermare che alla base della corruzione e di ogni reato contro la PA c’è sempre un conflitto d’interesse in cui prevale la mira del vantaggio illecito a discapito dell’imparzialità e della correttezza.

La lotta alla corruzione non richiede un regime sanzionatorio più rigoroso semmai un investimento sui controlli di questi potenziali conflitti mediante il rafforzamento delle investigazioni e, soprattutto, attraverso una riforma culturale di cittadini, imprese e funzionari pubblici. Innanzi tutto deve esserci piena consapevolezza che, al di là della riprovazione sul piano comportamentale, la corruzione rappresenta un danno economico che ricade sulla collettività. Un esempio può aiutare la comprensione. L’impresa Alfa intende vincere la gara per la mensa scolastica corrompendo il responsabile dell’affidamento con una somma allettante pari al tre per cento del valore dell’appalto. L’impresa è sempre impresa anche quando corrompe e quindi il “costo” della corruzione sarà conteggiato assieme a tutti gli altri costi necessari per formare il prezzo di gara (consulenze merceologiche, premi assicurativi, etc.). Quindi il prezzo della corruzione non è pagato dal privato ma dall’amministrazione che sosterrà un costo maggiore per quel servizio. E anche quando l’impresa non fosse così scaltra cercherebbe di rientrare della spesa nella fase esecutiva, cambiando i menù della mensa con minore qualità in danno agli utenti. Questo esempio aiuta a comprendere che il valore della corruzione non è soltanto etico ma anche patrimoniale. Non ci si può limitare a giudicare in termini negativi il comportamento del funzionario corrotto, come se fosse una questione soltanto etica. E’ necessario essere pronti a denunciare fenomeni di corruzione per preservare il bene comune che quell’amministratore corrotto non ha interesse a realizzare. E’ tempo di riflettere seriamente sull’introduzione di strumenti, già previsti in altri paesi, che incentivino le segnalazioni e le denunce.

La corruzione è una questione morale e culturale. Entrare nelle scuole per stimolare una riflessione seria dei più giovani sul vantaggio di essere corretti piuttosto che corrotti è un primo passo necessario per operare sul piano culturale. Vi è poi l’azione più importante che la Legge Severino e l’Autorità Nazionale Anticorruzione in questi dieci anni non hanno ancora preso in considerazione. Se è vero che la corruzione nasce da un conflitto d’interesse, allora occorre superare tale conflitto ed orientare l’interesse del singolo funzionario nella medesima direzione dell’interesse pubblico. La lotta alla corruzione si realizza attraverso una cultura organizzativa volta a realizzare “senso di appartenenza”. Non ci sono adempimenti amministrativi che possono suscitare questa leva fondamentale per contrastare l’illecito. Si tratta di intervenire su temi come il benessere individuale e collettivo, sulla vision e sulla mission di ciascuna amministrazione, sulla riscoperta delle radici culturali e sociali che caratterizzano ogni ente pubblico. Prima o poi arriverà un legislatore che non si limiti a “spazzare corrotti” (migliaia) ma proverà a “premiare i corretti” (milioni). Lo sperano in tanti.

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